Una sera di novembre (2015) ricevetti un invito da parte di Stefano Zampieri[1] a
partecipare ad un primo incontro on-line (di quattro) in cui Ran Lahav[2]
avrebbe tenuto una Companionship[3]
(cosa a me allora sconosciuta). Lahav
era un autore che io avevo studiato molto negli ultimi anni e in modo
particolare all’interno del mio percorso di formazione in Phronesis e anche per questo, quando accettai, mi sentii un po’
emozionato. Alla fine di quella serie di incontri Ran mi chiese di partecipare
ad altri cicli di Companionship e,
successivamente, mi invitò a collaborare con lui per condividere questa pratica
con altre persone, oltre a propormi di ricercare e sperimentare assieme a lui
altri nuovi modi per “fare filosofia”. E fu sempre Ran a propormi (maggio 2016)
di tenere una Companionship alla 14th International Conference on
Philosophical Practice (ICPP
2016) che si sarebbe tenuta a Berna dal 4 all’8 agosto. All’inizio ero piuttosto
perplesso e restio all’idea di tenere una Companionship,
pratica di cui ero poco più di un neofita appassionato, in una lingua
(l’inglese) che non padroneggio ovviamente al pari della mia lingua madre,
senza considerare l’elevato costo che la mia partecipazione avrebbe richiesto.
Nonostante queste prime forti titubanze, però, decisi comunque di andare a
vivere questa nuova esperienza, spinto dalla voglia di mettermi in gioco, oltre
che dal desiderio di incontrarmi e confrontarmi con altri filosofi pratici
provenienti da un po’ tutte le parti del mondo, anche con l’obiettivo di
comprendere meglio quale fosse la situazione reale delle pratiche filosofiche
al di fuori del contesto italiano. Il titolo del convegno era Understanding the other and oneself e si
aprì con la presentazione di Detlef
Staude, filosofo pratico di Berna dal 1997 oltre che principale
organizzatore della stessa Conference. In estrema sintesi il suo
intervento (che ahimè fu pronunciato in lingua tedesca) sosteneva la rilevanza
del corpo in vista di una profonda comprensione di sé e dell’altro, e
sottolineava l’importanza della filosofia come strumento che, proprio
attraverso tale comprensione di noi stessi, dell’altro e delle situazioni nelle
quali siamo di volta in volta immersi, può insegnarci a vivere meglio. Il
dibattito che seguì questo intervento introduttivo fu molto acceso e si
concentrò soprattutto sul tema del rapporto pensiero-corpo e sulle modalità
attraverso cui il corpo potrebbe giocare un ruolo rilevante all’interno di un
dialogo o, in generale, di una pratica filosofica. Devo dire che, tra i vari
interventi, mi sono trovato d’accordo soprattutto con le pungenti
considerazioni di Brenifier[4],
il quale denunciava un’eccessiva astrattezza del discorso di Staude. Dal canto suo Brenifier, a partire dalla sua diretta esperienza, aveva condiviso
degli esempi concreti di esercizi fisici che gli è capitato più volte di
proporre all’interno di una consulenza (respirazione, allungamento,
passeggiata) col fine di gestire particolari stati emotivi che ostacolavano il
“naturale svolgimento” della consulenza. Il filosofo francese concluse il suo
intervento dicendosi convinto che prendere in considerazione il corpo possa
avere un senso ed essere effettivamente utile esclusivamente se lo si fa al
fine di favorire il processo del pensiero e, dunque, del dialogo. I laboratori
filosofici iniziarono soltanto dal giorno successivo e io cercai di partecipare
il più possibile anche se, purtroppo, non ho potuto evitare di perderne
qualcuno, visto che, per una esigenza organizzativa generale, molte attività si
sovrapponevano. In ogni caso partecipai alla conferenza di Eckart Ruschmann[5],
secondo cui la comprensione profonda dell’altro può avvenire soltanto tenendo
presente la reciproca interdipendenza di teoria (concetti, convinzioni ecc.) e
di pratica (esperienze personali concrete). Concentrandosi su questa forte
connessione, secondo il filosofo pratico austriaco, sarebbe possibile
interpretare correttamente i desideri, i bisogni, le emozioni, la percezione, i
pensieri e i valori che giacciono nelle parole e nei comportamenti del
consultante. Nel complesso giudicai la conferenza molto gradevole, ma, nel
contempo, piuttosto astratta. Dopo aver assistito ad una Companionship, tenuta in quella stessa tarda mattinata da Ran Lahav e da Mike Roth[6],
presi parte al workshop tenuto da Viktoria
Chernenko (How to quest oneself),
giovane consulente filosofica, allieva di Brenifier,
che presentava il modo attraverso cui risulterebbe possibile rivolgere
direttamente a se stessi una consulenza filosofica. Trovai l’incontro molto
interessante anche se, a dire la verità, ero già venuto a conoscenza di questo
metodo qualche mese prima, durante un workshop tenuto dallo stesso Brenifier a Bergamo. Personalmente trovo
allettante l’idea di potersi interrogare, di poter trovare da sé i presupposti
dei propri pensieri e delle proprie azioni per poi metterli in discussione,
anche se sono convinto che il “dialogo” tra sé e sé sia viziato dalla mancanza
di un’autentica prospettiva esterna, dalla quale ritengo risulti più facile
osservare, smascherare ed operare sui “punti deboli” del proprio pensiero. Nel
tardo pomeriggio di quello stesso giorno riuscii a partecipare anche ad un
altro workshop, questa volta condotto da Jorge
Humberto Dias e Tiago Pita, due
consulenti filosofici portoghesi che hanno presentato il loro progetto di
ricerca Happylab (avviato
nell’ottobre 2015 e che consta di 33 ricercatori sparsi tra Spagna, USA,
Italia, Norvegia, Romania, Canada, Croazia, Sud Corea, Israele, Brasile, Russia
e Grecia) volto a valutare quanto la consulenza filosofica sia in grado di
condurre il consultante alla felicità attraverso il metodo che si basa sulla
seguente formula (detta appunto la formula
della felicità): F=P+C (Felicità = Progetto + Concretizzazione). Trovai le idee
che emergevano da questo workshop piuttosto ingenue, per non dire
ridicole: è davvero
possibile ridurre la consulenza filosofica a un metodo basato sulla formula della felicità? E anche nel caso
in cui fosse possibile: è questo il compito del consulente filosofico, ovvero
rendere felici i propri consultanti? Trovai piuttosto ridicola, oltre che
superficiale, anche la conferenza della sera che verteva sul tema della
sessualità (Sexuality and philosophical
practice) tenuta da Lydia Amir[7],
da Anders Lindseth[8],
da Willi Fillinger[9],
da Gerald Rochelle[10]
e da Vander Lemes[11].
La domanda che ha fatto da sfondo alla conferenza era: “Perché i filosofi non
parlano mai di sessualità?”. Secondo gli stessi relatori la sessualità, invece
di essere una sfida per la filosofia, rappresenta una sorta di tabù filosofico
perché tra gli stessi filosofi c’è paura di denudarsi, di mettersi in gioco, di
aprirsi agli altri e nonostante questo tema possa sembrare ultra gettonato
all’interno dell’opinione pubblica, secondo loro, in realtà, non lo si riesce
mai ad affrontare seriamente. Purtroppo devo ammettere che la loro convinzione
è stata confermata dai loro stessi successivi interventi: a parte le
interessanti premesse qui sopra rievocate quello che è emerso è stato, a mio avviso, poco
più di un grande vuoto di concetti, di una rara povertà di
argomentazioni e di una imbarazzante incapacità di analizzare la questione da
una certa profondità. Il dibattito, insomma, si rivelò tanto triste quanto
grottesco: buoni propositi e sincera passione che non sono riusciti a sfociare
e a tradursi in alcunché di proficuo. Il giorno successivo, dopo aver tenuto la
companionship utilizzando un testo che mi piaceva molto, estrapolato da
un’opera di Martin Buber (I and Thou), partecipai al workshop di Carmen Zavala (consulente filosofica in
Messico) che illustrò le modalità attraverso cui gestisce i suoi incontri di Caffè Philo. Carmen ci ha raccontato, per esempio, che la tematica viene decisa
democraticamente alla fine di ogni incontro per la volta successiva, che ogni
persona interviene a turno per un tempo massimo di tre minuti e che i concetti
relativi ai vari interventi dei partecipanti vengono riassunti su una lavagna.
Prima della fine del convegno riuscii ad assistere ad altri tre workshops:
quello di Will Heutz[12]
e Joep De Jong[13]
(secondo cui il consulente filosofico permette al consultante di trovare la via
in direzione del proprio profondo Sé
attraverso l’ascolto, la comprensione e attraverso un dialogo non contaminato
da opinioni, teorie o tecniche), quello di Riella Morhayim[14]
(secondo cui il senso complessivo di ciò che fa il consulente filosofico,
invece, sta nel riuscire a condurre i propri consultanti, attraverso delle
opportune ed efficaci domande, ad una comprensione della propria personalità,
delle proprie credenze e dei propri valori) e, infine, quello di Kristof Von
Rossem[15]
(che ha illustrato, attraverso un’efficace simulazione, un suo Dialogo Socratico tipo). Volendo fare,
allora, un bilancio complessivo di questa esperienza, direi che è stato molto
stimolante e soprattutto istruttivo vedere quello che alcuni tra i più attivi
consulenti filosofici di livello internazionale fanno in giro per il mondo. Mi
ha fatto un certo effetto, però, constatare il fatto che nessuno dei consulenti
filosofici presenti al convegno si concentri, per professione, esclusivamente
sulle consulenze individuali. Anzi, da quello che ho potuto riscontrare, sono
davvero in pochi quelli che, fra le altre loro attività, praticano anche la consulenza filosofica
individuale: workshops, dialoghi socratici e Caffè Philo, insomma, hanno sicuramente più successo, nel senso che
sono maggiormente richiesti dal “mercato” stesso e i consulenti filosofici
sembrano adattarsi a tale richieste senza alcun tipo di problema. La cosa non
poteva non stupirmi visto che faccio parte di un’associazione che ha posto al
centro del proprio interesse e della propria ricerca appunto la consulenza
filosofica individuale, attività che, come abbiamo visto, sembra invece essere
passata in secondo piano nello spazio riservato alle pratiche filosofiche a
livello internazionale. Questo dato, a mio avviso, non può non essere preso in
considerazione e credo che debba essere oggetto di una seria riflessione,
soprattutto da parte di noi di Phronesis
che, come è noto a tutti, attualmente stiamo attraversando un momento molto
delicato, perché internamente divisi in modo particolare proprio su questo tipo
di questione. È vero: sappiamo che c’è un gruppo di ricerca che, a partire dal
2 ottobre 2016[16], si sta
occupando proprio del tema della professione e che mi auguro includerà anche
questo dato all’interno della propria indagine. Al di là del lavoro che sta
svolgendo questo gruppo di ricerca, però, credo che ogni consulente filosofico
abbia il dovere di interrogarsi singolarmente sul senso di questa significativa
tendenza internazionale che, a ben vedere, si potrebbe riscontrare benissimo
anche all’interno della situazione generale italiana (basti pensare, per
esempio, a quanti consulenti filosofici di Phronesis
lavorano facendo consulenze individuali). La maggior parte dei cosiddetti
consulenti filosofici, insomma, non fa consulenza filosofica, né in Italia né
nel mondo. Ovviamente si può discutere su questa constatazione, che può essere
interpretata in modi diversi e che si può spiegare ricorrendo a differenti
ordini di cause. Ma per dirla in tutta franchezza, io non lo so se la nostra
pratica potrà mai diventare un lavoro, perlomeno nell’accezione comune che
questo termine porta con sé. Io so soltanto che per
ora, dopo più di trent’anni dalla sua nascita, nessuno, di fatto, è riuscito
ancora a trasformare questa bellissima (e secondo me anche promettente) pratica
in una professione a tutti gli effetti. Ritengo, inoltre, che il bilancio
personale e complessivo, a cui ogni consulente filosofico serio non si può più
sottrarre, debba partire dalla messa in discussione di quello che finora era
stato il presupposto (tutt’oggi irrealizzato e non dimostrato) di una
consulenza filosofica intesa come professione (nonostante ciò sia sostenuto da
illustri consulenti come Pollastri[17], nonché perfino dallo stesso fondatore
di questa pratica, Achenbach[18]). Porre un
punto di domanda su quello che finora ha rappresentato il nostro punto di
partenza (e che nel contempo voleva essere il nostro punto di arrivo), però,
non significa necessariamente dover mettere in discussione il valore
complessivo di questa preziosa pratica che, a mio avviso, potrebbe
tranquillamente conservare intatta la propria autenticità anche realizzandosi
attraverso modalità alternative ed estranee alle logiche di mercato che
caratterizzano la società capitalista di cui facciamo parte. Anzi, direi che
l’esperienza di Berna mi ha confermato esattamente il contrario: è proprio nel
tentativo di seguire le logiche di mercato che si finisce con l’occuparsi
sempre meno di consulenza filosofica individuale. A tal proposito vorrei
rilanciare una domanda presa in prestito da una riflessione pubblicata da Zampieri all’interno del suo blog[19],
di cui condivido l’urgenza e su cui, ciascuno di noi, consulenti filosofici Phronesis o aspiranti tali, dovrebbe
cominciare ad interrogarsi: «E' vero che il "consulente filosofico"
ha interpretato se stesso come un libero professionista e come un fornitore di
servizi (d'aiuto o di riflessione), ma è davvero questo il nucleo della sua
identità?». Per concludere, in ultimissima battuta, vorrei affiancare a questa
opportuna domanda di Zampieri, la
seguente provocazione che mi piacerebbe condividere con ciascun socio Phronesis, col solo augurio di riuscire
a stimolare una riflessione puramente costruttiva: e se fosse la stessa idea
della consulenza filosofica intesa come professione una delle cause del fallimento
(o, volendo essere indulgenti e benevoli, della non affermazione sociale) di
questa pratica, quali prospettive si porrebbero di fronte a noi consulenti
filosofici o, ancora meglio, quali scenari si aprirebbero rispetto al futuro
della nostra associazione professionale?
[2] Ran Lahav, che si è formato presso l’Università del Michigan
dove ha conseguito un perfezionamento in psicologia filosofica, da più di
vent’anni è attivo nel campo delle pratiche filosofiche. Nel 1994 ha
organizzato con Lou Marinoff il primo convegno internazionale sulla Consulenza
filosofica a Vancouver e, sempre nello stesso anno, è stato fra i soci
fondatori della Israel Organization for the Advancement of
Philosophical Counseling. Nel 2014 ha avviato Agora, il sito web internazionale dedicato alle pratiche
filosofiche (www.PhiloPractice.org)
[3] La Companionship filosofico-contemplativa è una
pratica filosofica, ideata da Lahav, in cui un gruppo di persone medita su idee
e testi filosofici, nel tentativo di sviluppare una profondità interiore.
[4]
Oscar
Brenifier è filosofo, formatore e
consulente; ha promosso le pratiche filosofiche in Francia e all’estero, sia
con i bambini che con gli adulti, tanto individualmente che all’interno delle
realtà aziendali.
[5]
Eckart
Ruschmann è laureato in Filosofia e
in Psicologia, si occupa di pratiche filosofiche sin dagli inizi degli anni
’90, è membro dell’Austria Society for Applied Conferences (GAP), un gruppo di
filosofi che si occupano di pratiche filosofiche, ed è insegnante universitario
oltre che Consulente Filosofico in Bregenz (Austria).
[6]
Mike Roth è laureato in filosofia alla Sidney University; è membro di philopraxis.ch
e anche della commissione organizzativa dell’ICCP 2016.
[11]
Vander
Lemes è facilitatore di Neo-Socratic Dialogues in Spagna,
Germania, Gran Bretagna e Svizzera.
[12]
Will Heutz è un filosofo pratico e uno psicologo
che vive a Heerlen, in Olanda, dove ha un ritiro filosofico, immerso nella
natura, e dove lavora con i signoli individui e con i gruppi.
[13]
Joep De Jong ha lavorato per circa 40 anni come
pediatra, medico orto molecolare e come filosofo pratico Taoista (è stato anche
maestro di agopuntura).
[14]
Riella Morhayim è laureata in filosofia in
Turchia, vive e lavora in Israele in qualità di consulente filosofica,
soprattutto individuale.
[15]
Kristof Von Rossem è esperto in Dialoghi
Socratici e formatore degli insegnanti di filosofia all’università di Leuven
(Belgio) e insegnante universitario di Business Ethics a Brussels.
[16]
Il 2/10/2016, a Mestre, si è tenuto il primo incontro del gruppo di ricerca,
composto da vari consulenti filosofici della nostra associazione, di cui Chiara Zanella, già presidente di Phronesis, è tuttora coordinatrice.
[17] Neri
Pollastri, fiorentino, è Consulente
Filosofico dal 2000. Ha insegnato Teoria e prassi della consulenza filosofica
presso l’Università Ca’ Foscari di
Venezia ed è stato presidente di Phronesis
di cui tuttora dirige l’omonima rivista.
[18]
Gerd B. Achenbach è
nato ad Hameln nel 1947. Dopo il dottorato in filosofia
conseguito nel 1981, ha iniziato la sua attività di consulente filosofico. Nel
1982 ha fondato la Gesellschft fur
Philosophische Praxis (Società internazionale per la consulenza filosofica) di
cui è stato presidente fino al 2003.
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